Le origini

Il museo rappresenta la memoria storica della Contrada e contiene  oggetti, a partire dal XVII  secolo, quali arredi sacri, bandiere,  costumi, i drappelloni dei palii vinti, materiali di archivio ed altre  importanti testimonianze della vita contradaiola.
La storia del museo del Bruco e della sua sede non è molto antica.

Nel 1670, gli abitanti della Contrada edificarono, a proprie spese, il  piccolo Oratorio a metà di via del Comune, dedicandolo al SS.  Nome di Gesù.
Già proprietaria della casa confinante con la chiesa, con un orto al quale si accedeva dalla sagrestia, nel 1887, la Contrada acquistò lo stabile confinante che lo scultore, Giovanni Duprè, aveva lasciato ai suoi eredi i quali,  poco dopo la morte dell’artista, decisero di vendere facendo mediare l’affare da un altro scultore conosciuto, Tito Sarrocchi.
Da questa acquisizione, attorno al corpo centrale della chiesa, nasce il primo nucleo della sede della Contrada e del suo museo.

Si cominciò a pensare ad una sala delle vittorie nel 1926 ed a questo proposito fu predisposto un progetto dal Prof. Bettino Marchetti, ma i lavori, che iniziarono l’anno successivo, si limitarono al rifacimento del solo pavimento di due appartamenti.

Anche nel 1939 l’argomento fu affrontato in un’ assemblea, ma non si giunse, però, ad una decisione in merito.

Così come, nel 1947, venne presentato un altro progetto, del sig. Corsi, ma la sottoscrizione necessaria per realizzarlo, non consentì nemmeno di iniziare i lavori.

Si arriva, poi, al 1954 con un nuovo progetto posto all’esame del Consiglio Direttivo; ma  anche questo non ebbe esito.

Nel 1963, divenne veramente pressante la necessità di realizzare un museo dove conservare le memorie storiche della Contrada, ma c’era sempre il grosso problema di come e dove reperire i fondi necessari per far fronte alle spese, che si prospettavano abbastanza consistenti. Furono indette sottoscrizioni, fu apprezzato il contributo del Rettore e infine fu anche stipulato un mutuo bancario.

Superate in qualche modo le non poche difficoltà finanziarie e grazie, soprattutto, al notevole apporto, in termini di lavoro, fornito volontariamente da diversi contradaioli, il Rettore Luigi Socini Guelfi poté, il 5 agosto del 1967, inaugurare il Museo, o sala delle vittorie come venne anche definita.

La sala fu costruita in base al progetto dell’architetto Lorenzo Borgogni, ma il vero promotore e sostenitore dei lavori fu Antonio Ducci che, quando qualcuno disse che sarebbe stato impossibile realizzarla, replicò: “niente è impossibile basta cominciare” e preso un piccone iniziò a scavare, subito seguito dagli altri contradaioli presenti: Primo Pagni, Ferdinando Firmati, Malbis Gambelli, Franco Rinaldi e Luigi Cenni. A questi primi volenterosi si unirono diversi altri brucaioli che scavarono la terra per una profondità di circa 4 metri. Iniziarono lungo i muri perimetrali, dove fecero una vera e propria trincea, per consentire di rinforzare le fondamenta, e poi liberarono il resto. La terra asportata fu sistemata davanti al museo, dove c’era un avvallamento del terreno, ricavando così un piazzale allo stesso livello degli interni.

È qui riprodotto uno scritto di Antonio Ducci in cui racconta quell’evento:
“Il contributo del lavoro dei contradaioli fu molto importante e quello di alcuni di essi fu addirittura essenziale. Non è il caso di fare nomi, perché fu uno sforzo collettivo, limitandoci ad evidenziare che tutto sarebbe stato più complicato se non ci fosse stato Primo Pagni che si assunse l’onere di dirigere i lavori con competenza ed assiduità, dando istruzioni, uscendo di casa la mattina e facendo continuamente la spola tra la Contrada e la sua bottega ai ferri di San Francesco.
E quando ci trovammo nei pasticci, per l’impossibilità di reperire mattoni che sapessero di vecchio, ci fu chi ce li procurò demolendo un vecchio casolare nei pressi di un mulino al Bolgione. E proprio questi mattoni mi ricordano l’impegno di assecondare ogni richiesta di Lorenzo Borgogni, sempre alla ricerca di qualche particolare che impreziosisse un ambiente anonimo. Particolari come lo zoccolo della facciata fatto con pietre di Montegrossi conciate a mano, la trave della Basilica di San Francesco, che non fu facile ottenere, difficile da trasportare e quasi impossibile stornare essendo sensibilmente più lunga della larghezza della strada, la lapide all’ingresso con lo stemma del Bruco scolpito e non incollato, in quanto le venature del marmo non si dovevano interrompere, finezza questa che pensammo avrebbero apprezzato in pochi ed invece non ha mai interessato nessuno; e poi la porta trecentesca della Chiesa di Ancaiano, vero pezzo di antiquariato e la ringhiera del ballatoio, opera d’arte originale nel disegno e laboriosa nell’esecuzione, dato che ogni fitta rappresenta una martellata a freddo, perché esigemmo che non si adoperasse né la forgia né il maglio per evitare l’uniformità delle impronte. Ed infine anche il grande quadro a tutta parete dell’artista Cesarini.
Concludo con un episodio che, pur facendo parte anch’esso della nostra storia, si presta a qualche volo di fantasia.
Tra tutti i “volontari” ci fu un giovane dotato di una forza straordinaria e di una volontà impressionante; non si fermava mai e fece più lui da solo che tutti noi messi insieme. Ci dissero che era nipote di una signora in fondo a Via del Comune e che gestiva una pompa di benzina; ci dissero anche il nome che non usammo mai perché, sin dal primo momento, gli fu appioppato un soprannome: La Ruspa.
Ciò che però risultò un po’ strano fu che prima non aveva mai frequentato la Contrada e nemmeno la frequentò dopo.
Era il primo a venire e l’ultimo a lasciare il lavoro, stava sempre zitto e quando noi facevamo una sosta e giravano panini e qualche bicchiere di vino, lui non mangiava, non beveva e nemmeno sudava, non era mai stanco, lavorava sempre.
E quando ne parlai con un appassionato cultore di queste cose un po’ strane, questo rincarò la dose: non solo – disse – ma quando circolava qualche parolaccia diventava rosso! Che  vuoi, lassù non ci sono abituati!
La storia è vera. Non so se i dubbi siano credibili, ma a me piace crederci.”

Usufruendo dei contributi previsti dalla legge speciale per Siena, che coprivano l’ 80% della spesa, nel 1980  fu rifatto il pavimento della chiesa.
La circostanza offri la possibilità di svuotare completamente tutto il sottochiesa, ricavando così uno spazio abbastanza ampio da utilizzare per un futuro allargamento del museo.

Anche questa volta fu determinante il lavoro svolto volontariamente dai numerosi contradaioli che, ogni sera e per vari giorni, portarono via tutta la terra sistemandola nel piazzale antistante in modo da allungarlo notevolmente.
L’impresa titolare dei lavori, durante il giorno smuoveva il duro tufo che la sera, con pale e carrette, veniva asportato dai diversi volenterosi; tra i quali c’era spesso anche Don Paletti, che si “zaccherava” regolarmente la tonaca. A fine lavoro, di regola, c’era una pastasciutta e girava qualche bicchiere di vino.

Nel corso degli anni, però, l’esigenza di uno spazio espositivo più ampio ed adatto a contenere il patrimonio storico artistico della Contrada si è fatta sempre più forte.
E’ certamente  questo motivo che indusse il popolo del Bruco ad accettare, alla fine degli anni novanta, la proposta del Rettore, Roberto Saladini, che riteneva necessario dare un nuovo assetto alla struttura precedente ed ampliare gli spazi destinati al museo.
Il progetto definitivo, degli architetti Massimo Betti, Luca Giannini e Roberto Fineschi, del maggio 2001, che ha interessato l’esistente sala delle vittorie, i due appartamenti sovrastanti ed il sottochiesa,  aveva come obbiettivi l’organizzazione degli spazi diversi e definiti per funzione, ma collegati attraverso un percorso logico e coerente.

I lavori strutturali si svolsero con la continua assistenza del Provveditore agli immobili, Senio Petreni e si conclusero nel 2004, dopodiché iniziò il delicato lavoro del posizionamento dei beni esposti; la nuova sede museale fu inaugurata il 1° giugno 2006.

Il nuovo Museo è stato concepito su tre livelli con i due ingressi fondamentali ubicati al livello intermedio, con la scala elicoidale che funge da elemento di connessione di tutto il sistema.
Al piano terreno, denominata Sala delle Vittorie, sono stati collocati i Palii e tutti gli oggetti relativi alla storia della Contrada.
Al piano intermedio, in corrispondenza del livello degli ingressi, è collocata l’arte e gli arredi sacri, sia sul percorso di collegamento, sia nella sagrestia.
Al terzo livello, si trovano gli spazi più intimi della contrada; a questo piano, infatti, sono conservati i costumi attuali della passeggiata storica, sono esposti i ricordi, anche cose, forse, di scarso valore artistico ma di grande valore della memoria – qui si trova la sala riunioni della “Sedia”, l’organo esecutivo della Contrada.

La nascita del nuovo Museo è stata lunga, ma l’ottimo risultato raggiunto è, oggi, sotto gli occhi di tutti coloro che hanno il piacere di visitarlo.

Visite

Le visite sono possibili inviando una richiesta via mail a  economato@nobilcontradadelbruco.it
oppure telefonando a: